Il 20 Marzo 1994 a Mogadiscio Nord, in Somalia, c’è un pick-up bianco con delle strisce arancio scuro sulle fiancate, quasi rosse. Corrono orizzontali anche lungo tutto il cassone, aperto, fino alla scritta sul retro: Toyota.
Quel giorno di Marzo, intorno alle 15 ora locale (in Italia siamo due ore indietro) ci sono tantissime persone che si muovono frenetiche attorno al pickup.
Estraggono due corpi: un uomo dal sedile davanti, del passeggero. Una donna dal sedile posteriore. Li caricano su un altro pickup di proprietà di un imprenditore italiano che si chiama Giancarlo Marocchino e li portano al porto Vecchio, sempre a Mogadiscio Nord, dove vengono scortati sulla nave Garibaldi della Marina Militare Italiana intorno alle 16:00, perché i due corpi sono di due persone italiane. L’ufficiale medico redige anche il certificato di morte della donna.
Un paio di ore più tardi arrivano anche gli effetti personali dei morti, prelevati dalla camera 203 e 204 dell’Hotel Sahafi a Mogadiscio Sud. Li hanno raccolti due giornalisti, Gabriella Simoni di Studio Aperto e Giovanni Porzio di Panorama, e vengono anche filmati da un operatore della televisione svizzera che si chiama Vittorio Lenzi mentre lo fanno. Hanno messo nelle borse e nelle valigie anche una ventina di VHS e cinque taccuini pieni di appunti. Perché i due morti sono italiani, ma non solo: l’uomo si chiama Miran Hrovatin, ha 59 anni, vive a Trieste ed è un cameraman freelance. La donna ha 33 anni, si chiama Ilaria Alpi, è di Roma, ed è un’inviata del TG3.
Noi ci salutiamo e ci risentiamo alle 8:00 di Lunedì prossimo.
Se un ribelle spento passa il testimone, siamo pronti a prenderlo?
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